lunedì 1 maggio 2023

24 ore Selvadec



È da tanto che non scrivo, un po' per pigrizia, un po' perché non trovavo niente di interessante da raccontare. 
Ho sempre pensato che se una cosa non è interessante per chi scrive, figuriamoci quanto lo deve essere per chi si deve anche rompere l'anima a leggere.
Detto questo, visto che qualcosa di mio interesse nello scorso settimana è successo, ho pensato bene di vincere la pigrizia e di mettermi a raccontare.
Da due anni ormai, non si capisce bene per quale disgraziato motivo, l'ultimo fine settimana di aprile si festeggia il compleanno dei Selvadec. 
La cosa di per sé non sarebbe deprecabile se ci limitasse a mangiare e bere come fanno le persone normali; sfortuna vuole che nel Gruppo di normalità ce ne sia davvero poca e quindi ai gozzovigli ci si deve sempre aggiungere qualche poderosa vaccata sportiva (con tutto il rispetto per gli sportivi e per i bovini in generale) che sfocia in idee che a definire malsane sarebbe riduttivo.
Ci eravamo lasciati con l'Everesting dello scorso anno, e ci ritroviamo con una 24 ore da ripetersi su un anello di 11 km circa, con 500 metri di dislivello. 
L'organizzazione parte da lontano, con una serie di telefonate che durano ore, telefonate così lunghe che sarebbero state un perfetto spot anni 90 per una nota compagnia telefonica che qui non cito per non essere accusato di far marchette.
Vi risparmio i contenuti, anche perché a ben pensarci sarebbe difficile parlarvi del nulla, e salto direttamente alle conclusioni dove si decide che:
1) si fa una 24 ore (ma non è una gara)
2) si fa un "non programma"
3) si fa un volantino che crei confusione (soprattutto nelle nostre menti già di per sé molto confuse)
4) si tiene un basso profilo

Stabilito il tutto si arriva finalmente al fatidico giorno accorgendosi che forse il profilo mantenuto non era stato così basso come auspicato.
Il racconto di quanto accaduto a partire dalle 10 ve lo risparmio. Mi piacerebbe raccontarvi che è stato un viaggio indimenticabile alla scoperta di me stesso ma in realtà sono cose che se non le vivi non le puoi capire; sarebbe come se dopo una serata tra vecchi amici si provasse a raccontare alla moglie quello che ci si è detti: semplicemente impossibile.
Quindi meglio lasciare parlare i numeri che più o meno li si può riassumere così:

A) Indefinito, il numero di partecipanti (non è ancora chiaro quante persone ci fossero in giro e soprattutto se ci sia ancora qualcuno che non è rientrato alla base; nel caso fatecelo sapere di modo da poter avvisare che la manifestazione è finita)
B) Imprecisato, il numero di persone che hanno stazionato con abnegazione al bar per 24 ore consecutive 
C) 110, le persone che hanno pranzato con noi alla domenica
D) Infinito, il numero di stupidaggini che si sono sentite lungo il percorso
E) 8, le ore consecutive in cui il Corlatti e il Tractor hanno fatto conteggi su quanti km si potessero fare
F) 12, le ore che non sono bastate al Finto Umile per capire che stava esagerando
G) 2 x 1, le misure della tovaglia (tutto chiaro Marianna?)
H) 1000, i grazie per chi ha reso indimenticabile anche questa avventura



martedì 2 agosto 2022

VUT 2022

Pur non avendo delle prove che possano avvalorare la mia tesi, credo che Giacomo Leopardi abbia villeggiato qualche estate in Valmalenco e, il giorno successivo alla VUT, abbia trovato l’ispirazione per scrivere “La quiete dopo la tempesta”.

E’ il primo pensiero che ho avuto domenica mattina guardando Caspoggio dal balcone di casa, dove tutto stava tornando alla normalità, non fosse altro per la parola VUT che veniva pronunciata in ogni discorso.

VUT non è il verso di qualche strano animale: è semplicemente l’acronimo di Valmalenco Ultradistance Trail, evento che blocca l’omonima Valle per un intero fine settimana.

Per farvela breve, si parte alle 23 del venerdì da Chiesa in Valmalenco e si hanno 24 ore di tempo per arrivare a Caspoggio percorrendo quasi tutta l’Alta Via: 90 km dichiarati … e il resto mancia.

Ai nastri di partenza i Selvadec al gran completo; unico fuori gara il Tractor, nell’inedito ruolo di “scopa” a supporto degli atleti più lenti; compito per il quale ci vuole una santa pazienza e quindi immaginatevi il Tractor, con la stessa pazienza di Caronte che traghetta le anime nell’aldilà, che sprona gli ultimi ad avanzare per riuscire a stare nel tempo massimo.

Dicevamo quindi che i Selvadec sono tutti presenti: qualcuno ha già provato più volte a cimentarsi mentre per molti del gruppo si tratta dell’esordio assoluto.

Non è che possa entrare nella testa degli altri, anche perché spesso fatico ad entrare nella mia, però credo che i pensieri siano più o meno uguali per tutti: speranza di arrivare, paura di non farcela. Immagino che ognuno si sia fatto un film nella propria testa e che se lo tenga per sé proprio come si fa con i sogni.

Dunque, alle 23 si comincia, fortunatamente graziati dalla pioggia che ha smesso di scendere giusto una mezz’ora prima di partire.

Attraversiamo prima Chiesa, poi Torre Santa Maria e qualche alpeggio accompagnati da suoni di campanacci e parole di sostegno fino a quando ci si ritrova nel silenzio, con il cielo ormai terso e “così uscimmo a riveder le stelle”.

La nottata mi pesa molto più del solito e non vedo l’ora che albeggi, non tanto per spirito romantico ma per levarmi di torno quella maledetta frontale che mi fa venire il mal di mare; poi, giusto per far capire il mio stato di lucidità mentale, mi ricordo di toglierla dopo quasi un’ora che ha fatto giorno.

Nel frattempo sono rimasto da solo perché ho deciso di limitare le pause al minimo indispensabile; non mi sento un granchè in palla e quindi preferisco portarmi avanti.

Il rimanere solo mi da’ l’opportunità di scambiare qualche chiacchiera con altri atleti che, con il passare delle ore, finiscono per essere sempre gli stessi. Tra l’altro, conoscendo a memoria il percorso, mi posso permettere di dispensare consigli, ovviamente non richiesti e che io per primo non seguirei.

La giornata mi vola e in perfetta tabella di marcia mi ritrovo al Rifugio Zoia dove mi aspettano Silvia e alcuni amici per darmi la spinta finale.

La stanchezza c’è ma il morale è alto e da lì riparto convinto verso il traguardo, che non sta proprio dietro l’angolo, anche considerando il fatto che rimane ancora un po’ di dislivello da fare; cerco di tenere un passo deciso perché ormai il pensiero è quello di finire il prima possibile; fortunatamente le gambe sostengono la mente e in poco meno di 3 ore me la sbrigo arrivando a Caspoggio con un sacco di gente che è lì ad aspettarmi.

Alla spicciolata arrivano anche gli altri e si fa festa tutti insieme, che come già detto in altra occasione è il vero scopo finale di tutta la faccenda.

Ovviamente ce la raccontiamo, ci diciamo sempre le stesse cose e di sicuro andremo avanti a raccontarcele per un anno intero, almeno fino alla prossima VUT.

Ultimo pensiero è per Laura che per cinque maledetti minuti non ce l’ha fatta a rimanere nei cancelli; pochi minuti su una gara che dura ore sono un po’ come quei centimetri di cui parla Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica.

Non credo sia proprio una questione di vita o di morte, ma essendoci passato anch’io so benissimo quanto la cosa sia fastidiosa.

Comunque, ci sarà modo per prendersi la rivincita; unica cosa, ci sarà solo da pazientare un po’ ma poi il risultato sarà ancora più gustoso

 

P.S. per tutti gli abitanti della Valle: non è che possa sempre sapere dove si trovi il Faso

 

 

martedì 19 luglio 2022

Aggiungi un posto a tavola


Dicono che le decisioni più importanti della vita si prendano seduti a tavola.

Se questa regola fosse sempre vera, chissà quali fenomenali strategie sarebbero dovute emergere da un Gruppo che ha trascorso la bellezza di 7 ore consecutive intorno a una tavola; insomma proprio una tavola non era perché si era così in tanti che ci si è arrangiati con il prato però non è che possiamo stare a fare tanto i precisi: se siamo Selvadec ci sarà un motivo.

Una volta tanto non si parla di corse e vette, ma di mangiare e bere, cosa che a quanto sembra ci riesce piuttosto bene.

L’idea nasce da Davide che invita tutto il branco dei Selvadec a fare una grigliata; per ingentilire la compagnia, a differenza di quanto succede nelle nostre scampagnate, si portano anche mogli e figli.

L’organizzazione dell’evento non si discosta molto da quello che si fa per mettere in piedi le nostre uscite: una serie di messaggi inutili, una pseudo lista delle cose da portare e poi… e poi ognuno fa quello che vuole.

Il risultato è che ci si ritrova con una quantità di carne che farebbe impallidire un macellaio e una quantità di birra degna di una sagra di Paese.

Come già ci accade quando ci si trova ad affrontare impegnative ascese, non ci facciamo scoraggiare da quello che ci aspetta e con buona lena, come degli affamati dopo un lungo digiuno, cominciamo la nostra personale battaglia contro tutto quello che viene messo sulla griglia.

Ovviamente, il mangiare e il bere vengono abbondantemente accompagnati da dotte disquisizioni sulla corsa, sugli allenamenti e sulle gare; la nostra fortuna è che siamo i primi a non prenderci sul serio perché dopo tutto, come il calabrone vola sfidando tutte le leggi della fisica, noi si corre sfidando tutte le leggi del buon senso.

Chiaramente più trascorrono le ore e i più i racconti diventano delle favole che potrebbero fare concorrenza ai Fratelli Grimm; alcune cose raccontate vengono chiaramente mitizzate, ma nessuno osa dubitarne e così finisce che non si riesce a smettere di ridere tanto che, giusto per rimanere nelle leggenda, si narra che qualcuno il giorno dopo abbia dovuto fare una seduta dal fisioterapista per farsi “sciogliere” le mascelle intorpidite dalle risate.

In qualche momento mi trovo ad osservare tutti quanti; è una cosa che mi piace fare quando sono in gruppo: mi allontano e osservo, un po’ come di fronte a un quadro che per vederlo bene ci si deve mettere un po’ più lontani.

Quando mi estraneo, mi ritrovo spesso a fare paragoni assurdi e anche questa volta non faccio eccezione: guardo e penso a New York dove sono stato di recente; penso subito al modo di mangiare veloce e al farlo spesso da soli; mi accorgo subito che qui siamo proprio in un altro mondo dove la cosa che più conta è la voglia di condividere e stare insieme.

E così si fa davvero fatica a tornare a casa, perché queste sono le giornate che vorresti prolungare all’infinito; però ad un certo punto bisogna andare ed è giusto farlo quando ancora si ha  un po’ di voglia di rimanere, di modo che si crei già un senso di attesa per il prossimo appuntamento.

 

P.S. per uno del Gruppo che domenica ha fatto questa domanda esistenziale: “Se mangiassi e bevessi di meno, avrei dei risultati migliori nella corsa?”

Ho dovuto pensare molto per non darti un risposta avventata e ho prima preferito documentarmi leggendo qualche rivista scientifica.

Ebbene, per quanto ho appreso dalle mie letture, ritengo avresti risultati migliori... però sicuro non ci faresti ridere così tanto.

Quindi, continua pure così, hai la mia benedizione…

 

martedì 28 giugno 2022

Lavaredo Ultra Trail

Ci sono quattro lanzichenecchi e un borbone che vanno a Cortina…

Potrebbe essere l’incipit di una barzelletta e invece è una storia vera; la storia di un viaggio che ha avuto origine a ottobre, quando il Faso, ultra trailer per passione e stalker di professione, ci ha proposto di partecipare alla Lavaredo Ultra Trail (120 km e la solita scorpacciata di metri di dislivello)

Per chi non lo sapesse, per parteciparvi non è sufficiente versare un congruo obolo come iscrizione ma si deve anche avere la fortuna (o sfortuna… questione di punti di vista) di essere sorteggiati, in quanto le richieste di partecipazione sono ampiamente superiori ai posti disponibili.

Per tenere a bada il Faso, ma con l’inconfessata speranza di un sorteggio avverso, gli diciamo di sì, un po’ come si fa con i bambini quando ti rompono l’anima e tu gli rispondi “la prossima volta, adesso vediamo, al prossimo negozio, etc.”

Il fatto che poi a giugno ci si ritrovi in macchina in direzione Cortina avrà già fatto capire, anche al lettore più distratto, quale sia stato il risultato del sorteggio.

Auto piena, teste vuote. Siamo in 5: io, il Faso, il Corlatti, il capo gita Tractor e il nuovo entrato Leo, partito il mercoledì dal Regno delle Due Sicilie per unirsi a noi.

Gara prevista per il venerdì sera, noi si decide di partire al giovedì mattina in modo da preparare il tutto con il consueto rigore sportivo che ci contraddistingue; rigore che ci porta a mangiare uno stinco alla Forst di Merano e a bere qualche birra qua e là per Cortina.

Il venerdì invece lo passiamo riposando e studiando la tattica di gara; dopo infinite disquisizioni, il Corlatti, con la proverbiale saggezza di cui ama fare sfoggio, propone di “tirare finchè ne abbiamo e poi si vedrà”; chiaramente noi si aderisce con entusiasmo alla sciagurata idea.

Lentamente si arriva alle 23, l’orario di partenza previsto: centro di Cortina, 1500 atleti festanti, musica di Ennio Morricone che mette i brividi e finalmente… su chen va!

Le prime ore trascorrono con l'alternanza di un po’ di chiacchiere, un po’ di noia perché al buio sembra tutto uguale e anche con l’imprevisto di un bel acquazzone che ci fa entrare una buona dose di freddo nelle ossa.

Poi con la prima luce, come quando su palcoscenico viene aperto il tendone, ecco che lo spettacolo comincia: le Dolomiti appaiono in tutta la loro maestosità.

E’ una bellezza così ammaliante che anche se sei in compagnia finisci per trovarti da solo immerso nei tuoi pensieri; io mi guardo intorno sempre più affascinato e penso che Chi ha messo in piedi tutto questo spettacolo deve essere Uno che la sa davvero lunga.

Sarebbe bello raccontare che la bellezza non fa sentire la fatica, ma come tutti sanno anche le rose più belle hanno le loro spine. 
Così, tra un crisi e l’altra, finiamo ognuno per andare avanti del proprio passo accompagnati dalla stanchezza e dal timore di non farcela.
E allora, tra una salita e una discesa, tra una meraviglia e l’altra, alla sera ci si ritrova ancora tutti e quanti a Cortina a riprendere il filo del discorso, come se non ci fossimo mai lasciati.

Che poi del resto la corsa è un po’ come la vita, dove la maggior parte del tempo lo si trascorre con le persone a cui si vuole bene; e tirando le somme quello conta veramente non è fare tutta la strada insieme, ma è arrivare allo stesso Traguardo per poi ritrovarsi per sempre a fare festa.

 



martedì 7 giugno 2022

A spasso in Val Gerola

Penso ci sia una sorta di calamita nell’Universo che attiri vicendevolmente le persone che hanno nella testa delle idee malsane; altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui ad ogni uscita che facciamo ci sia sempre qualcuno di nuovo ad aggiungersi e, cosa ancora più preoccupante, a ripresentarsi ancora la volta successiva.

Questa volta ci sono anche Stefano e Andrea che apparentemente sembrano due persone normali; però il fatto che si facciano trovare alle 5 del mattino a Morbegno per farsi un giro di una sessantina di km è un evidente segno che qualche problema (serio) lo debbano avere anche loro.

Siamo in sei a partecipare a questa scampagnata che prevede l’attraversamento di mezza Val Gerola partendo da Morbegno; valle che, giusto per dare una precisa collocazione geografica, si sviluppa proprio alla destra di Morbegno (per chi arriva da Milano).

Ecco, la geografia, punto abbastanza dolente per la maggior parte di noi, ma non per il Tractor (al secolo Andrea Galli) che, con la consueta pazienza, ci spiega la tale cima, il tale lago, la tale cresta… "fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza..."  insomma, come un novello Ulisse ce la racconta e cerca di erudirci un po'; noi ascoltiamo e guardiamo con attenzione, la stessa attenzione di un gruppo di mucche ferme a guardare un treno che passa. 
Riusciamo a fare anche domande improbabili e nonostante tutto ci vengono date risposte sensate (almeno così ci piace pensare).

Comunque, tra un’assurdità e l’altra, ci passano davanti agli occhi posti davvero incantevoli: Cima Rosetta sopra il paese di Rasura, le Dighe di Trona e di Inferno incastonate tra le pietraie e il Pizzo dei 3 Signori che domina sulla valle e tutti i suoi paesini; aggiungiamoci poi quel profumo di alta montagna che ti entra dentro e il capolavoro è servito.

Con questi ingredienti non è più una semplice camminata ma diventa qualcosa di molto simile alla Poesia.

Ci sarebbe da fare la cronistoria di tutta la giornata ma vuoi che alcune cose risulterebbero abbastanza censurabili, vuoi che altre potrebbero annoiare il lettore e allora meglio soprassedere; in più, ad essere sinceri fino in fondo, faccio davvero fatica a scrivere di questo posto perché avendoci trascorso tante estati da ragazzino ne darei una visione così di parte che qualcuno potrebbe pensare che stia descrivendo le Dolomiti.

Quindi meglio lasciare che siano le foto a descrivere il tutto, così che non mi si possa accusare di aver venduto della tolla per oro; perciò, se in futuro qualcuno deciderà di visitare questa piccola perla che unisce la Valtellina alla provincia di Lecco e di Bergamo non potrà certo farmene una colpa.
 

P.S. Il Pizzo dei 3 Signori non è che domini proprio su tutta la Valle perché in molti punti non lo si vede proprio. Mi sono preso una licenza poetica; lo specifico giusto per qualche esperto di geografia che potrebbe farmelo notare…

 

 

martedì 31 maggio 2022

A che tante facelle?

Ogni allenamento notturno che si rispetti è preceduto da una serie infinita di messaggi per decidere come vestirsi, cosa mettere nello zaino, cosa portare da mangiare, varie ed eventuali.

Se si andasse a ripescare tra i messaggi scambiati nelle occasioni precedenti ci sarebbero tutte le risposte a tutte le domande possibili e immaginabili ma evidentemente ci sono dei rituali da rispettare e quindi anche questa volta non si fa eccezione.

Cominciamo già a scriverci qualche giorno prima e la frequenza dei messaggi si fa sempre più elevata all’avvicinarsi dell’appuntamento. Dobbiamo capire come apparecchiare la tavola: il nostro menù prevede una cinquantina di km con un dislivello imprecisato; il ritrovo è per le 19 e l’incognita è il meteo.

Stranamente questa volta siamo solo in tre: io, Manuele (detto il Finto Umile perché finge sempre di non essere in forma) più un altro Cavallo pescato chissà dove che so già che metterà a dura prova le mie gambe.

Partenza da Chiesa Valmalenco, discesa verso Torre Santa Maria per poi salire al Rifugio Bosio e poi … e poi si vedrà in base al tempo.

Percorso che ormai conosco a memoria perché ricalca la prima parte della VUT (Valmalenco Ultra Trail) e che perciò, tra ricordi delle partecipazioni passate e un po’ di ansia perché tra un paio di mesi sarò ancora in ballo con la gara, non è che proprio muoia dalla voglia di farlo. Aggiungiamoci poi che fa decisamente caldo ed ecco che già si può immaginare il mio stato d’animo nell’affrontare tutta la faccenda.

Per fortuna il ritmo non è così elevato e, tra una chiacchiera e l’altra si arriva ai Piasci, che dal mio punto di vista è uno dei punti più panoramici di tutta la Valle; punto così panoramico dove ci stava anche un bel rifugio che da un po' hanno pensato bene di chiudere; giusto il tempo di fare qualche foto che si riparte e in una quarantina di minuti si arriva al Rifugio Bosio dove Cesare, il gestore, ci offre un bel caffè e prova anche a tentarci con un grappino.

A malincuore diciamo di no e ripartiamo; nel frattempo ha fatto buio e il freddo comincia un po’ ad entrarci nelle ossa e quasi si rimpiange di non esserci fermati a fare serata…

Intanto cominciano a vedersi in lontananza i primi lampi e quindi scendiamo verso Primolo con l’intenzione di arrivare almeno a Chiareggio: se proprio dobbiamo prendere acqua almeno che si eviti di prenderla su sentieri in alta quota.

E poi qualcuno “saggiamente” afferma che considerato il meteo si accontenterebbe di fare anche “solo” una cinquantina di chilometri…

E intanto che questi benedetti chilometri corrono, il mio stomaco è sempre più sottosopra, di certo non aiutato dal fatto di continuare a mangiare e bere schifezze di ogni tipo.

Faccio fatica anche se sono in discesa e cerco di distrarmi guardano le luci dei paesi che brillano in mezzo al buio della vallata.

Finalmente arriviamo a Chiareggio e a malincuore rinunciamo ad una parte del giro perché i lampi si fanno sempre più vicini.

Sopra di noi invece una stellata davvero mozzafiato; un qualcosa che fa pensare all'infinito e al cui cospetto ci sente davvero dei miseri granelli di polvere.

Penso a Leopardi, al Canto Notturno e alla domanda “a che tante facelle?”; già, chissà quale sarà il senso di questo spettacolo, gratuito peraltro; sempre uguale e sempre così diverso. 
Ci sono solo le stelle da interrogare, nessuna Luna, però un po' pastore errante mi sento ugualmente.

Intanto che guardo penso, intanto che penso corro; e finisce che mi ritrovo solo con i miei pensieri che spaziano dai misteri del Creato a cose senza senso.

Tra un pensiero e l’altro, da Chiareggio si prende la via di casa facendo gli ultimi km su una lunga striscia di asfalto che non sarà una cosa romantica ma almeno si fa prima e magari si arriva a casa prima che cominci a piovere.

Finalmente si arriva a Chiesa, si beve una birretta prima di salutarsi , e intanto che gli altri due fortunati si ritirano in casa, a me tocca fare da solo il sentiero che da Chiesa porta a Caspoggio; giusto un centinaio di metri di dislivello; poca roba penserete voi, ma a volte le cose piccole riescono ad essere le più fastidiose: non so se avete presente un moscerino nell’occhio; ecco, poca roba, eppure…

Mi trascino stancamente su per il bosco, ogni tanto sento il fruscio di qualche animale che si sposta e il richiamo di qualche uccello notturno, ma sono così stanco che non riesco nemmeno ad avere paura.

Un quarto d’ora di passione e arrivo a casa: penso che tra un paio d’ore farà di nuovo chiaro, che è ora di farsi una doccia e soprattutto che forse è il caso di andare a dormire.

Fatico a prendere sonno e l'unica cosa che riesco a pensare è che domani è un altro giorno...

mercoledì 25 maggio 2022

Non andrà tutto bene ma...

Caro Alberto,

finalmente riusciamo a festeggiare insieme.

Ormai mi sentivo in colpa per averti trasmesso questa passione così insana, anche perché hai voglia a continuare a raccontarti i ricordi del passato quando il presente non fa stare allegri.
Va bene avere una fede incrollabile, e per questo ti devo fare i complimenti, ma 11 anni di traversata nel deserto sono stati veramente infiniti.

Qualcuno potrebbe obiettare che la traversata nel deserto più famosa sia durata 40 anni però almeno lì non c’erano gli altri che vincevano ma soprattutto c’era Mosè che qualcosa di miracoloso ogni tanto lo tirava fuori.

Un po’ la speranza l’avevo persa anch’io perché quando sei in mezzo al deserto e vedi tutto arido non pensi sia possibile che qualcosa possa cominciare a germogliare.

Ero così rassegnato che non mi ero reso conto che qualcosa di magico cominciava a prendere forma; eppure da mesi avevo una sensazione strana, quella tensione prima delle partite che mi ha riportato ad essere ragazzino; una serie di rituali da ripetere ogni volta perché “tanto non cambia nulla, però non si sa mai”.

Sai Alberto, più passavano le partite e più la speranza cresceva; in alcuni momenti ho avuto anche paura che non ce l’avremmo fatta e la cosa che più mi dispiaceva era l’idea di non poter festeggiare insieme.

C’era una tradizione da portare avanti; come aveva fatto il nonno con me io volevo fare con te: anche lui mi raccontava del suo Milan e con lui abbiamo festeggiato il mio.

Che ansia domenica e che liberazione a fine partita: che bello andare in giro con te e che bello sentirsi ancora ragazzino.

Adesso sono felice perché anche tu un giorno potrai raccontare del tuo Milan, del Milan di Pioli, di Theo e di Tonali; insomma il Milan dei tuoi eroi che per te saranno immortali e più passeranno gli anni e più ti sembreranno forti.

E’ una ruota che gira, perchè alla fine il calcio è una metafora della vita: gioie e delusioni, vittorie e sconfitte, ricordi da condividere o più semplicemente, per quel che mi riguarda, una questione di famiglia.

Caro Alberto, che questa lunga traversata ti serva da lezione: nella vita come nel calcio, non è vero che tutto andrà sempre bene; però quello che devi ricordare è di non perdere mai la speranza, la speranza che dopo Istambul ci sia sempre Atene.

 Il tuo papà

24 ore Selvadec

È da tanto che non scrivo, un po' per pigrizia, un po' perché non trovavo niente di interessante da raccontare.  Ho sempre pensato c...